lunedì 16 aprile 2012

Il Demone a Beslan


Il Demone a Beslan
Andrea Tarabbia con questo libro entra in un campo minato, osa infatti narrare la strage di Beslan. Un argomento di per se scontante e rischioso per qualsiasi scrittore, ma addirittura lui alza la posta. La storia infatti è narrata in prima persona dall’unico terrorista sopravvissuto alla strage. Potrebbe rischiare di rendere simpatico il terrorista e quindi la sua crudele azione. Non lo fa. Ce lo fa odiare attraverso le sue parole? Nemmeno. Tra questa pagine non esiste il nero o il bianco. I cattivi e i buoni. Ognuno ha le sue colpe, solo i bambini sono gli innocenti. L’autore ha fatto una grande opera di bilanciamento. Essa si vede nella struttura della narrazione: ad un capitolo del passato del terrorista, Marat Bazarev, corrisponde un capitolo della sua detenzione. Cosi apprendiamo la sua storia, i motivi per cui lo hanno spinto ad unirsi ai terroristi e alla cellula artefice del sequestro di mille persone. Un uomo che insieme ad un suo amico passavano il tempo ad un anfiteatro. Uccidere non era nel loro futuro. Poi un giorno il loro villaggio fu assalito dai russi. Entrambi si ritrovarono soli, orfani delle loro famiglie. C’erano solo loro due e la voglia di sopravvivere. Per farlo si sono uniti a dei terroristici ceceni. L’autore nel descriverli non ha nessuna simpatia per loro, però con dei capitoli a parte cerca di farci capire la mentalità delle donne, le vedove cecene, ognuna con la propria mole di sofferenza. Parallelamente nei fatti della prigionia, il protagonista si scopre ammalato e per di più parla con due persone inesistenti, Petja, un bambino vittima della strage e un vecchio con un gatto. Fanno parte della sua coscienza e del suo sentirsi in colpa. Probabilmente infatti dal suo volere espiare la colpa di quello che ha fatto, non vorrà accettare il trasferimento in un carcere dove potrà essere curato. Lui non merita nulla, è un mostro… ma dietro un mostro c’è sempre il suo Frankenstein. Dalla violenza non può che nascere altra violenza. Il protagonista è dunque giustificato? No, ma durante la narrazione l’autore non divide il mondo in chi ha ragione e torto. Lo fa nelle pagine prima che inizi la narrazione però con una citazione di Dostoevskij “Se le sofferenze dei bambini saranno servite a completare quella somma di sofferenze che era necessaria a riscattare la verità, io dichiaro subito che tutta la verità non vale un simile prezzo.” Con questo libro, secondo me, l’autore ha lanciato una sfida a se stesso, la difficoltà era enorme ma con la sua bravura ci è riuscito.

Voto
8.5/10   

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